LE NEVI DEL KILIMANGIARO (LES NEIGES DU KILIMANDJARO) |
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di Robert Guédiguian, con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Grégoire Leprince-Ringuet
(Francia, 2011)
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Robert Guédiguian ritorna alla sua Marsiglia, al gruppo di amici-attori di sempre, al suo stile intimo e discreto, l'impegno sociale e politico, l'utopia fiabesca, ahimè non più rivoluzionaria ma sempre solidale con gli oppressi, e capace di volgersi in poesia. Come non amare allora la generosità dei suoi diciassette film, il radicalismo dei suoi primi capolavori ( A LA VIA A LA MORT è del 1995, MARIUS ET JEANNETTE del 97, LA VIE EST TRANQUILLO del 2000), l'esigenza di evadere a Parigi per filmare uno straordinario Michel Bouquet negli ultimi mesi del François Mitterrand di LE PASSEGGIATE DEL CAMPO DI MARTE); e pure il desiderio, dopo quel 2005, di tentare le nuove strade meno convincenti dell'esotico LE VOYAGE EN ARMENIE o del thriller LADY JANE? Un percorso sempre eguale e diverso, unico nel cinema francese, talvolta avvicinabile nei molti alti e pochi bassi a quello inglese di un Ken Loach. Il grande merito dell'umile universo corale di Guédiguian è di mai nutrirsi di miserabilismo, non fosse che per il fatto di svolgersi nell'evidenza solare marsigliese. Come qui: raccontando una storia che potrebbe anche essere soltanto cupa e sconsolata, come quella della coppia di operai licenziati dal cantiere navale nel quale lavorano da anni (i soliti, ineguagliabili Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan) che vedono sconvolto il loro tutto sommato sereno pre-pensionamento dal violento tradimento di uno dei loro. Tradimento di classe, doppiamente doloroso in quanto giunge in contraddizione di tutti i valori sui quali si è costruita l'esistenza dei due operai. E' il colpo di scena che impone al tono del film la svolta violenta: da una felicità quasi buonista che permette ai protagonisti di vivere in ottimistica fratellanza un quotidiano dignitoso ma tutt'altro che generoso, all'amarezza brutale delle scelte crudeli, dei dubbi e delle disillusioni, della vendetta e del perdono. Sogno e realtà, utopia e fallimento: non è allora soltanto il cinema di Guédiguian, ma quello delle vocazioni umaniste, sociali e politiche di molte generazioni a confrontarsi nel film. Contraddizioni che, da un lato, conferiscono al film un titolo di commossa nobiltà in un momento per molti versi cinico e sconsolato come l'attuale. Dall'altro, obbligano il regista a far coabitare la semplicità della resa realistica con l'artificio fantastico della fiaba: con il rischio di far perdere in credibilità all'uno o all'altro.
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capolavoro
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